Farsi “inquietare” dalla Parola

Dall’1 al 3 aprile un gruppo di giovani del MGS di Sicilia ha partecipato agli esercizi spirituali presso la casa FMA di Alì Terme. In questo articolo di una giovane animatrice dell’oratorio salesiano di Pedara il racconto dell’esperienza.

di Rossella Rapisarda

 «Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» 

Quando ho comunicato ai miei genitori e ai miei amici che avrei partecipato a degli esercizi spirituali, mancando per un intero fine settimana, le reazioni sono state varie. Chi ha semplicemente alzato le spalle, chi la riteneva un’esperienza positiva, ma soprattutto chi – per gentilezza, curiosità o proprio per incredulità rispetto a qualcosa di completamente estraneo al proprio stile di vita – mi ha domandato “perché?”. Lì per lì credevo che la risposta fosse scontata o che non ce ne fosse nemmeno una in realtà. Pensavo “non c’è un perché, ci vanno gli altri, perché non dovrei andarci anche io?”. 

Inutile dire che la prima sera avevo già cambiato idea. 

La rivoluzione inizia dalla prima Lectio di don Paolo Fichera, che ha indirizzato la nostra attenzione verso l’importanza dell’ascolto nella relazione con se stessi e con gli altri. L’ascolto è alla base di tutto. Tuttavia, prima di ascoltare gli altri dobbiamo imparare ad ascoltare noi stessi e per farlo è necessario mettere a tacere quello sciame di api che – secondo Plutarco, filosofo greco – popola le nostre menti e che rappresenta tutti i pensieri “molesti” e solo sottraendosi ad essi sarà possibile percepire ciò che ci suggerisce lo Spirito Santo. 

Preziose sono state le ore dedicate alla riflessione personale, seduti in riva al mare, in chiesa dinanzi al Santissimo o semplicemente su un gradino del cortile con un raggio di sole che si fa spazio tra le fronde degli alberi; tutto in rigoroso silenzio, quello stesso silenzio che adesso a molti di noi manca. E così, immersi nella natura, ci facciamo inquietare dalla Parola: ci suscita domande, interpretazioni, giudizi, dubbi, infiniti dubbi.

Un aiuto concreto a cercare di sciogliere i nodi delle incertezze è stata la scrittura; su un taccuino abbiamo annotato tutto ciò che provocava in noi la lettura della Parola, qualcosa che ci era rimasto impresso dalla lectio o qualche altro pensiero che apparentemente non aveva alcun legame con quanto detto, anche se abbiamo imparato che, se ispirato dallo Spirito Santo, un pensiero non può mai essere stupido o insensato.

E se l’inquietudine che viene da Dio può sembrare una cosa negativa, in realtà è soltanto l’alternativa all’agitazione di questo mondo, un “ostacolo” positivo che, se affrontato, ci conduce verso la chiarezza. In fin dei conti, questa stessa funzione l’ha avuta la morte nella vita di Gesù. La sua è una morte per la vita, come ha spiegato don Paolo nella seconda Lectio. «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24) solo morendo il chicco di grano può portare frutto; allo stesso modo ognuno di noi, solo “morendo a se stesso” sarà in grado di portare frutto nella sua vita e di essere dono per gli altri. Ciò nonostante, in questa logica della donazione non si deve perdere di vista la propria umanità, non può essere unidirezionale, ma bisogna trovare la giusta misura anche nel morire. Persino il chicco di grano, per quanto possa morire, se riceve troppa acqua, non produce alcun frutto. Fondamentale per non perdere il giusto orientamento è dunque l’obbedienza, intesa come intenso ascolto della Parola e adesione ad essa: è Dio stesso a supplicarci di essere ascoltato. 

E per fare bene il bene, si deve fare secondo obbedienza, evitando di degenerare nella φιλαυτία (filautìa), dal greco “amore di se stessi”, che secondo Sant’Agostino conduce fino all’odio per Dio e all’allontanamento da Lui, tanto da diventare noi il Dio di noi stessi e da decidere, in maniera autoreferenziale, cosa è bene e cosa è male. 

Un altro valido aiuto è stato condividere le nostre riflessioni e i nostri interrogativi con i vari gruppi in cui ci siamo suddivisi fin dal primo momento. Contrariamente a quanto la maggior parte di noi pensava e che qualcuno forse tutt’ora pensa, esternare – sempre nella giusta misura – qualcosa che nella nostra mente sembra ancora intricato, agevola a renderlo più chiaro. 

Infine, se mai dovessimo sentirci offuscati dalla tristezza e da sentimenti negativi, tanto che ci sembra di non riconoscere più Gesù, non dobbiamo scoraggiarci perché non saremmo gli unici. Infatti, gli stessi discepoli di Emmaus, che pure avevano conosciuto Gesù in carne ed ossa, quando lo hanno incontrato in seguito alla sua risurrezione, non lo hanno riconosciuto. E solo al gesto dello spezzare il pane, come ci racconta Luca, «lo riconobbero» e si resero conto che per tutto il tempo in cui erano stati in sua presenza, il loro cuore «ardeva». Anche noi come i discepoli, dobbiamo lasciare che il nostro cuore arda all’udire la Parola e, solo così, come loro, pure noi potremo «partire senza indugio».